La famiglia

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La vita del contadino

La vita del contadino dell'ottocento, dalla nascita alla vecchiaia, è assai poco confortevole. Il bambino, appena nato, porta una nota di festa nella famiglia contadina che però non può curarsi di lui nella maniera dovuta. Nei primi mesi avvolto nelle fasce: nessuno sfugge a questa antichissima consuetudine che vuole il bambino impedito nei movimenti (vissuta pure da me e documentata da fotografie).    La mamma per lui è pronta a togliersi il pane di bocca e, anche se per gli altri il cibo è scarso, lui non può rinunciare a nutrirsi bene, perché deve crescere sano e robusto; si diceva infatti: carna cha crès la g'ha da mangià da spess. La stessa madre, nel periodo dell'allattamento, non può tralasciare di mangiare a sufficienza perché deve favorire la formazione del latte. La madre, occupata nei lavori della casa, dell'agricoltura o, più spesso, dell'allevamento dei bachi da seta, deve abbandonarlo sempre di più alla custodia dei fratelli o delle sorelle maggiori. Le figliolanze nelle famiglie contadine erano in genere numerose; oltre tutto capitava spesso, soprattutto in tempi più remoti, che sotto lo stesso tetto vivessero più famiglie, per cui non era un problema trovare qualcuno che, troppo piccolo per il lavoro o troppo grande per restare   inoperoso, avesse il compito di prendersi cura dei bambini.

Quando ha imparato a camminare il bambino ha molta autonomia: si muove per casa e più spesso, col bel tempo si avvoltola nella polvere e nel fango dell'aia con i suoi compagni. Dopo queste prime libere esperienze di gioco, arriva in età scolare; a scuola in genere ci va, ma non fino alla fine dell'anno scolastico. Poiché è in grado di dare un aiuto in famiglia, con l'arrivo della buona stagione, in genere verso Pasqua, lascia l'abbecedario e conduce al pascolo i maiali  o, se è più grandicello, il bestiame bovino.

Ma anche in casa non manca la possibilità di aiutare i grandi, ad esempio nell'allevamento dei bachi. Così l'istruzione resta sempre più o meno incompleta (soprattutto per le femmine) e viene abbandonata non appena le giovani braccia possono dare un aiuto ancor più valido nelle molteplici occupazioni della comunità famigliare.

Si arriva così, coi ventanni alla coscrizione militare e al matrimonio. Ci si sposa presto e ci si sposa tutti: perché tutti, bene o male riescono a trovare marito o moglie. Poi la vita del contadino, tra le fatiche di sempre, "non subisce più varietà, tranne che nel progressivo aumento della prole". L'uomo in particolare, sta in casa solo per mangiare e dormire. Le giornate d'ozio d'inverno, e soprattutto le lunghe sere, si passano nelle stalle dove i vecchi raccontano alle nuove generazioni le superstizioni leggende dei secoli. Delle donne di quei tempi scrive invece il Cantù: "Le villane dai baldanzosi fianchi mostrano fino a diciotto o venti anni le loro ingenue bellezze. (...) Ma lo smodato lavoro, il cattivo mangiare, i maltrattamenti domestici le invecchiano anzi l'ora; perduti i capelli, guasti i denti, rimpiallato il corpo, ingiallita la pelle, le vedi con in collo qualche bambino striminzito, adoperarsi uggiose attorno alle faccende casalinghe, e nel loro melanconico sorriso leggi che intendono e insieme disperano d'uno stato migliore".

 

Interno di una casa tipica del 1940

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La polenta

 

Cosa mangiavano

 

La pult

Mettere a bollire in una casseruola di rame dell'acqua e del latte (in genere quattro parti dell'una e una parte dell'altro); a parte nel baslot si mescolano farina gialla e bianca (anche in questo caso quattro parti dell'una e una parte dell'altra), che poi si versano pian piano, durante l'ebollizione, nell'acqua e latte, mescolando con una forchetta di legno. Quando assume una certa consistenza (dopo tre quarti d'ora circa), la pult è pronta per essere distribuita nelle scodelle. Nuturalmente esistevano anche alcune varianti, ad esempio l'aggiunta finale di burro fuso (invece del latte) e magari anche formaggio.

Ul pan de mèj

Ul pangiâlt o pan de mèj, era composto per due terzi da farina di granoturco e, per il rimanente da farina di segale. Alle due farine e all'acqua si aggiungeva il levâ, cioè una piccola quantità di pasta acida che si comperava dal fornaio e che fungeva da lievito. L'impasto veniva messo in un recipiente, la masna, che era una specie di cassa di legno con le gambe ed il coperchio, dove si lasciava, incoperchiato, per un'ora e più a lievitare. Intanto in cortile si preparava il forno a legna che, era costruito in pietra e mattoni refrattari con un'imboccatura che, durante la cottura del pane, veniva chiusa e sigillata con fango (palta) per impedire dispersioni di calore. L'impasto una volta lievitato veniva spolverato di farina di segale e messo in un baslott, dove prendeva una forma tondeggiante, e da qui rovesciato su una lunga pala per essere infilato nel forno. Il ripiano del forno, su cui era stata accesa la legna in precedenza, veniva ripulito per far posto al pane: infatti quando il vorno era fughênt, si tirano in disparte la legna e la brace, si toglieva dalla pietra ogni residuo di cenere e si infilavano adagiandole le forme di pangiallo. La birla veniva tolta dal forno a cottura ultimata quando aveva formato in superficie una crosta scura, piuttosto alta e consistente, che era certamente più saporita della mollica interna, che invece assimigliava un poco alla polenta.

La cagiada

Il latte cagliato (cagiada) era molto importante in quando base di partenza per la preparazione dei formaggi. Il latte caglia secondo un processo naturale che però è piuttosto lungo. Per accelerarlo si usavano diversi metodi, per esempio si intiepidiva l'ambiente, stando attenti però a non avvicinarsi troppo alla fonte di calore (spesso si faceva la cagiata nella stalla che forniva un ambiente particolarmente adatto allo scopo) o, meglio ancora, si metteva nel latte della cagliata avanzata o si lasciavano sporchi della stessa i catini usati in precedenza. Anche un pezzetto di pasta acida (il levâ che si usava per far lievitare il pangiallo) era un ottimo aiuto.

Ul purscell

Del maiale non si buttava proprio nulla, solitamente veniva ucciso all'inizio dell'inverno anche perchè la stagione fredda favoriva la conservazione e la stagionatura dei salami. La carne veniva pestata e sminuzzata con grossi coltelli sul piano ricavato da un grosso ceppo (sciocch). Il trito veniva insaccato nelle budella dell'animale per mezzo di un imbuto (pedriö) di piompo. Con le parti migliori del maiale (coscia, spalla, ecc) si faceva il salame crudo (salam salamett). Alla pasta del salame crudo si aggiungeva del sale e a volte anche spezie (solitamente pepe) o anche aglio. Questi salami che erano i più pregiati, erano trattati con molta cura; appena insaccati venivano appesi al soffitto della cucina in una parte ben riscaldata dal fuoco e senza correnti d'aria dove potevano "asciugare". Quando erano ben asciutti e induriti, venivano portati in cantina oppure, per chi non aveva questa possibilità avvolgeva il salame nella carta e lo riponeva in una cassa contenente della cenere da legna secca o della sabbia. Più grassa era invece la salsiccia (lügànega) per la quale si impiegavano lardo, pancetta, coste e lombada, con l'aggiunta di una piccola quantità di acqua (o, meglio di brodo). Il trito che ne risultava era molto molle, veniva insaccato nell'intestino tenue, lungo, stretto e sottile, dello stesso maiale. La lügànega vera e propria infatti è lunga lunga ed era più comune e più consumato del salame crudo. Ul cudeghin o cudegot (a seconda delle proporzioni), in cui insieme alla carne venivano tritate anche parti più scadenti, come le cotiche (cùdech da cui il nome) e il grasso duro. Erano questi, salami da far cuocere. Si tenevano crudi, per mesi e si facevano cuocere al momento del bisogno. Il sanguinaccio salamini o salsiccette fatte con il sangue del maiale, lo si faceva cuocere cuocere in tegami, si mescolava con pancetta tritata e aromi e quindi si insaccava. Il salame cotto invece, era fatto con le parti più scadenti (spalle, sottogola e grasso), c'era inoltre ul salam de testa, fatto appunto con parti della testa del maiale e conservato cotto (ma per poco tempo). Anche la mortadella era conservata dopo che era stata cotta fatta quest'ultima con il fegato, la milza, il cuore, i reni, parti sanguigne e grasso. Naturalmente oltre agli insaccati il maiale dava anche altre cose come la carne da cuocere,  il grasso (lardo, strutto) la pancetta che veniva conservata sotto sale come il lardo e raramente la carne. Anche il sangue veniva raccolto e consumato, talvolta veniva fritto nel condimento (meglio nel burro), con un pò di cipolle o con verze e fagioli, altre volte si faceva la torta di sangue di maiale soffriggendo del grasso di maiale con cipolla, poi si aggiungeva del sangue con pepe e pangrattato e si mescolava, dopodichè  si faceva cuocere a fuoco lento finche si formava una crosta nera. La cottura sarebbe dovuta avvenire in forno ma normalmente si utilizzava il camino avendo l'accorgimento di mettere della brace anche sopra il coperchio  del recipiente di cottura. La carne che non veniva insaccata (poca perchè altrimenti si sarebbe dovuta consumare molto velocemente), veniva cucinata alla brace come le costine o con condimento e l'aggiunta di verdure. Dalla mie parti si faceva anche la rustida; si faceva soffriggere del grasso di maiale o del lardo con abbondante cipolla, poi vi si faceva rosolare del lombo e del fegato, si aggiungeva una spruzzata di vino rosso, del pomodoro,  alloro o qualcosa di simile e si portava a cottura. Anche i piedini (pesciöö) se non usati nella cazzöla, venivano bolliti e talvolta disossati, impanati e rosolati in olio di ravizzone (o d'oliva).

Il lardo ed il grasso di maiale

Il lardo era molto importante, doveva essere conservato bene e per questo scopo si usava la salatura. Lo si disponeva su un asse inclinato con sponde e scanalature e lo si ricopriva con abbondante sale. Un tempo il sale fino non esisteva , per cui si utilizzava il sale grosso che veniva tritato su un piano lisco con una bottiglia, e poi messo sul lardo strofinandovelo  bene con le mani. I vari pezzi di lardo (mezzene), salati venivano posti l'uno sopra l'altro. Dopo un pò di tempo il sale, innumidendosi, si scioglieva, colava lungo l'asse e veniva raccolto da una catinella di terracotta, da dove veniva prelevato di tanto in tanto per essere rimesso sul lardo. Tutte queste operazioni andavo fatte in un locale non troppo freddo, normalmente si usava la camera da letto. Per la conservazione della pancetta si procedeva nello stesso nodo. Il grasso di maiale (strutto) veniva tolto dai fianchi del maiale, tagliato a pezzetti e messo in una grande pentola di rame stagnata con due tazze d'acqua affinchè non attaccasse sul fondo, fatto questo si faceva cuocere molto lentamente per un paio d'ore, stando molto attenti che friggesse pian piano senza prendere colore, poi veniva versato in una scodella di terracotta e si conservava nell'armadio ricoperte con carta da zucchero.

Ul nustranel

Un tempo il vino in Brianza era sicuramente abbondante (anche se non ottimo), colpa anche dei metodi di coltivazione delle viti e di produzione del vino che non erano tra i più avanzati. Nel periodo che va dal 1860 al 1870 la fillossera produsse un gravissimo danno ai vigneti brianzoli distruggendoli quasi totalmente. Questo influi sulla produzione del vino che adesso veniva prodotto solo per i fabbisogni familiari. Dopo questa "catastrofre" il nustranell venne  prodotto con solo due qualità di uva: l'americana e il clinton, la prima più dolce e la seconda piuttosto aspra. Infatti i vitigni selvatici di queste uve si salvarono dalla poronospera in quanto più resistenti all'attacco delle nuove malattie. Il nustranel si otteneva con metodi assai semplici, L'uva raccolta veniva messa nei tini (la clinton era presente in misura superiore rispetto all'americana) e schiacciata con i piedi, dai quali il mosto veniva fatto uscire attraverso un buco praticato nel fondo, raccolto con mastelli e travasato in altri grossi tini dove stava otto giorni a fermentare. Dopodichè veniva messo nelle botti dove rimaneva per tutto l'anno, lo si toglieva un paio di volte per "ripulirlo" dalla poltiglia lasciata sul fondo. Il risultato ottenuto era un vino piuttosto leggero otto o nove gradi al massimo  e con alta acidità. Questo era il vino che si beveva normalmente a tavola, nelle osterie invece si beveva il vin gross, chiamato in questo modo per la gradazione alcolica più alta rispetto al nustranel, questo era vino importato dal piemonte e dal meridione.

 

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Ultima modifica: April 29, 2000